Storia della Città di Strongoli

Storia della Città di Strongoli

Preistoria ed età preclassica

La tradizione letteraria mitologica vuole Filottete ecista di Petelia. Egli era “famoso arciere tessalo, figlio di Peante e di Demonassa e compagno di Eracle. Avendo mancato al giuramento fatto all’eroe di non rivelare il luogo dove avrebbe deposto il corpo di lui e le famose frecce avvelenate col sangue dell’Idra di Lerna, fu ferito a un piede da una di queste frecce, e, dolorante per l’inguaribile piaga, fu abbandonato nell’isola di Lemno dai Greci che andavano a Troia. Nel decimo anno dell’assedio, avendo l’oracolo predetto che Troia non sarebbe stata vinta senza le frecce di Eracle, che erano in possesso di Filottete, Ulisse e Diomede andarono a prendere costui nell’isola dove languiva, e lo condussero a Troia. Ivi Filottete fu curato da Macaone, ispirato da Apollo, e, guarito, uccise Paride, con ciò agevolando la presa della città. Reduce da Troia, fu scacciato dalla sua patria, Melibea, in seguito a un’insurrezione, e venuto in Italia, nel Bruzio, vi fondò Petelia” (Cinti 1998). L’eroe tessalo, dunque, reduce dall’impresa bellica che i Greci condussero contro i Troiani, avrebbe colonizzato il litorale ionico che si estende dal fiume Neto al promontorio di Punta Alice. Sia Licofrone di Calcide sia lo Pseudo-Aristotele indicano i luoghi dell’Occidente che avrebbero conosciuto il Melibeo, quali Crimisa nei pressi del fiume Esaro e Macalla situata a 120 stadi da Crotone. Ma è Strabone, geografo di età augustea, a cui si uniscono VirgilioSilio ItalicoServio e Solino, ad attribuire la fondazione mitica di Petelia a Filottete.

Se la mitologia e le fonti letterarie rimandano alla fine del II millennio a.C., l’archeologia ci consente di documentare la vita nel territorio di Petelia anche in epoca più remota. Per quanto concerne l’età preistorica, sporadici sono i documenti della cultura materiale. Nel territorio sono stati rinvenuti schegge di ossidiana e una punta di freccia di selce attribuibili al Neolitico Medio e frammenti di ceramica d’impasto della media età del Bronzo (XVI-XIV secolo a.C.). Maggiori sono i rinvenimenti inquadrabili nell’età del Ferro (IX-VIII secolo a.C.) che ci fanno ipotizzare la presenza di comunità protourbane sul pianoro di Strongoli e sul tavolato delle Murgie.

Età classica: la colonizzazione greca

Il processo di colonizzazione storica, avviato nel sud dell’Italia a partire dall’VIII sec. a.C. con la fondazione di Pitecusa nell’isola di Ischia (circa 770 a.C.) da parte degli Euboici, investe anche il territorio dell’attuale Calabria. È dall’Acaia nel Peloponneso che si dipartono i coloni che fondano lungo la costa ionica Crotone e Sibari intorno al 710 a.C., Metaponto nel 690-680 a.C. e Kaulonia nel 675-650 a.C. Il contatto con il mondo greco nel territorio di Strongoli è documentato da alcuni rinvenimenti di fattura ellenica. Infatti, dal pianoro di Murgie, presunta Macalla, provengono un aryballos corinzio sferico databile all’ultimo quarto del VII secolo a.C., che presenta sul corpo un uccello a corpo umano, e un alabastron, anch’esso di fabbrica corinzia, databile al primo terzo del VI sec. a.C. con un grifone alato, animale fantastico tipico della ceramica greca di età orientalizzante.

Durante l’età arcaica la vita a Murgie continua: a questo periodo, infatti, sono da attribuire materiali votivi che fanno ritenere il luogo sede di culti di tradizione greca. È da questa località che proviene il corpo di una statuetta di Nike in corsa con himation, databile all’ultimo quarto del VI sec. a.C. Dopo la distruzione di Sibari, avvenuta nel 510 a.C. ad opera di Crotone, il territorio di Strongoli è sotto l’influenza della città di Pitagora che giunge da Samo alla fine del VI sec. a.C. Per questa età si hanno solo rinvenimenti sporadici. Un tesoretto monetale, databile agli inizi del V secolo a.C. e rinvenuto in località Serra Frasso, attesta i contatti con Kaulonia, Crotone, Metaponto, Taranto e Poseidonia. La dottrina del filosofo di Samo diventa nella Grecia d’Occidente un movimento di pensiero e si traduce in un’esperienza politica e religiosa che ha lo scopo di trovare il cammino razionale che conduce alla salvezza mediante la purificazione spirituale.

Al Pitagorismo è legata un’altra dottrina, l’Orfismo che trova molti proseliti in Magna Grecia ed anche a Petelia, ove nel 1836 in un sepolcro è stata rinvenuta una laminetta aurea con iscrizione greca, la quale era affissa con una catenella al cadavere del defunto. Questo il suo contenuto: “Sono figlio della terra e di Urano stellato, la mia stirpe è dunque celeste…ardo di sete e muoio: datemi, presto, la fredda acqua che scorre impetuosa dal lago di Mnemosine” (Maddoli 1996). La laminetta, che insieme a quelle che provengono da Thurii ed Hipponion sono convenzionalmente designate come “orfiche”, aveva la funzione di vademecum per il defunto nell’aldilà che poteva così ottenere mediante la sua condizione di mystes una situazione privilegiata di beatitudine ed evitare, dunque, i dolorosi cicli delle reincarnazioni.

Nel frattempo le popolazioni italiche tendono sempre più ad espandersi a svantaggio delle colonie greche della costa: tra la metà e la fine del V sec. a.C. Capua, Cuma, Neapolis e Poseidonia in Campania sono conquistate dai Sanniti. In Calabria all’inizio del IV sec. a.C. si assiste all’avanzata dei Lucani, popolazione del ceppo sannitico, i quali eleggono Petelia loro metropoli.

L’età romana

Successivamente con la conquista di Taranto (272 a.C.) ad opera dei Romani viene avviato il processo di romanizzazione nel Meridione e inizia una nuova fase storica per la Calabria e, dunque, per Petelia. Per quanto concerne il III secolo a.C. lo storico Livio ricorda di questo centro nel Bruzio la fedeltà filoromana e la strenua resistenza durante il conflitto annibalico tra il 216 ed il 215 a.C.

La fedeltà a Roma nelle lotte contro Annibale valse al centro l’appellativo di Fidelis Petelia. In questo contesto, al termine del conflitto il senato romano concedette a Petelia non solo di essere ricostruita ma anche di poter batter moneta propria.[4]

Se per l’età repubblicana (II-I sec. a.C.) scarse sono le testimonianze archeologiche, esse aumentano per l’età successiva: dal territorio di Strongoli, infatti, provengono vari documenti epigrafici della prima età imperiale.

Per quanto concerne il I-II sec. d. C. nel Bruttium lo sfruttamento delle risorse del territorio si svolge grazie a piccoli gruppi insediativi, mentre la divisione in proprietà del territorio si concentra in latifondi ed in villae con a capo ciascuna il proprio dominus. Il territorio viene sfruttato nelle sue produzioni più naturali, tranne alcune culture specializzate come le viti aminee attorno a Petelia, di cui si parla nel testamento iscritto su una delle quattro basi marmoree di Manio Megonio Leone, conservate nella chiesa cattedrale[4][5].

Petelia non è direttamente indicata nelle stationes del cursus publicus dettagliato dall’itinerario antonino, in cui invece è specificata la statio di Meto, posta a 32 miglia da Paternum (oggi Crucoli Torretta) e a 24 miglia da Tacina. La posizione della statio di Meto non è nota, ma si ritiene prossima alla confluenza tra i fiumi Vitravo e Neto, sempre in territorio di Strongoli, non lontano dalla “Pietra del Tesauro”, mausoleo del II secolo d.C. Qui vicino in località Pizzuta – Santi Quaranta, su una piccola altura, spianata alla sommità, che domina la confluenza dei fiumi Vitravo e Neto, si trova un “importante complesso del periodo imperiale”, costituito da una villa datata tra I e IV secolo d.C., e resti di sepolture tardo-antiche[6].

Petelia è invece presente nella Tavola Peutingeriana, che rappresenta le città romane e le distanze fra queste, tra Turis e Crontona. L’anonimo geografo di Ravenna riporta invece il toponimo di Pelia, tra Turris e Crotona, mentre Guidone in Geographica -che riprende i contenuti del ravennate[7]– indica Petelia con il toponimo di Pellia[8],

Fidelis Petelia fu dichiarata “libera e federata” (si governava con magistrati e leggi proprie) e Roma le concesse il diritto di battere moneta; mantenne questi privilegi fino all’89 a.C. quando in seguito alla legge Plautia-Papira cambiò condizione divenendo municipio quando “c’hauendo i Romani in tutta Italia trenta Municipii, solamente in Calabria n’haveuano nove”[9]. Nella monetazione in bronzo vennero rappresentati gli dei Apollo, Diana, Giove, Cerere e Nike[10].

Divenne poi cristiana e una tradizione vuole che vi nacque il 19º papa di Roma S. Antero del III secolo d.C. (ma secondo il Liber pontificalis era di origine greca e suo padre si chiamava Romolo), probabilmente martirizzato sotto l’imperatore Massimino Trace, ebbe un brevissimo pontificato (circa 40 giorni).

Petelia fu la sola a sopravvivere anche alla decadenza di Crotone.

L’Alto Medioevo

La tarda età imperiale vede nel territorio petelino la continuità di ville rustiche di età precedente, nuclei agricolo-residenziali che tendono a scomparire in età bizantina fino al corso del VII secolo, in seguito alle incursioni saracene.[11] Tra l’VIII ed il IX secolo la Calabria è stata soggette a tentativi di conquista (Tropea, Amantea e S. Severina, dall’840 all’882 furono conquistate dai saraceni che ne avevano costituito degli emirati) e poi a scorrerie. Le scorrerie proseguono nonostante il potere marittimo dell’impero bizantino: nel 933 cadono Petelia, Taverna, Belcastro. Nel 944 Pasquale (o Pascasio), inviato da Costantino VII Porfirogenito, riconquista Petelia[12].

Nella Notizia III (nota come la Diatyposis) del patriarcato di Costantinopoli, l’atto che riorganizza le diocesi in Calabria approvato dall’imperatore bizantino Leone VI detto il Saggio (866-912) sottoscritto intorno all’anno 900 Petelia non è presente tra le diocesi della metropolia di Santa Severina, che invece ha per suffraganee Umbriatico (Euriatum), CerenziaIsola e Gallipoli in Puglia. Nella successiva Notitia X (di poco posteriore al 1000) sotto Basilio II sotto alla metropolia di Santa Severina, viene aggiunta la nuova diocesi di Paleocastro (Petilia Policastro). Durante la conquista normanna della Calabria nel 1065 furono espugnare alcuni “castra Calabriae” tra cui Policastro che fu distrutto e tutti i suoi abitanti deportati[13]. È solo nell’XI secolo che fu eretta la diocesi di Strongoli, in sostituzione di Paleocastro.

Età feudale

Il nome attuale “Strongoli” è di origine greco-bizantina e accenna alla forma conica del colle su cui sorge l’abitato che ha resti di antichità romane. Strongoli da “Strongylon, quod est mons in girum elatus”. Rifondata già verso la fine del periodo bizantino, divenne città murata, in posizione dominante la bassa valle del Neto.

Durante il periodo normanno diventa sede vescovile, soggetta al metropolitano di Santa Severina. La diocesi è documentata per la prima volta nella bolla di papa Lucio III del 1183 all’arcivescovo di Santa Severina, Meleto, nella quale il pontefice conferma al metropolita tutti i suoi privilegi e ne menziona le suffraganee. Nei documenti del periodo normanno con la Diocesi si trova con nomi di Giropolen, Strongylon, Strombulo e Strongulo[14].

Con l’imperatore Federico II la “Civitas Stronguli” gode della condizione demaniale[15].

La terra di Strongoli, che fa parte del giustiziariato di Valle Crati e Terra Giordana del Regno di Napoli, perde la condizione demaniale Angioini e riacquista la condizione demaniale con gli Angioini a fasi alterne per circa un secolo, finché dal 1349 fu assegnata al conte di Mileto Ruggero Sanseverino, restando feudo fino all’eversione della feudalità.

Dal 1390 passò nell’ampio dominio del marchesato crotonese del marchese Nicolò Ruffo di Crotone, del ramo dei Ruffo di Catanzaro.

Dopo il 1400 ricompaiono i Sanseverino –principi di Bisignano– che restano feudatari di Strongoli fino al 1605

Durante la 2^ Dinastia aragonese del Regno di Napoli, sotto Ferdinando il Cattolico (1452 –1516), il castello feudale fu da questi disarmato il castello come tutti quelli della zona. Il riaffacciarsi del pericolo delle scorrerie turchesche ripropose ben presto il problema della difesa della città e del castello. Nella seconda metà del Cinquecento il vescovo Timoteo Giustiniani (1567-1571) fortificò la città con quattro torri, opera completata dai successori. Sempre in questi anni le mura cittadine sono potenziate con l’introduzione del bastione nella parte più esposta e presso la marina è costruita la torre di Limara[15].

Pochi anni dopo nel 1605 il feudo spopolato e distrutto passava dai Sanseverino a Giovan Battista Campitelli, conte di Melissa, che acquistò il feudo per 70.000 ducati dai principi di Bisignano. I Campitelli erano tra i maggiori e più influenti feudatari del marchesato di Crotone e del regno di Napoli. Annibale Campitelli nel 1620 ebbe il titolo di “Principe di Strongoli”.

Francesco Campitelli dal 1624 al 1668 è feudatario e principe di Strongoli. Sotto il suo dominio, la città spopolava per le pestilenze ed era oppressa dalla malaria[16].

Alla morte di Francesco Campitelli, senza figli, il feudo passò nel 1668 al nipote Domenico Pignatelli, figlio della sorella Giovanna Campitelli, maritata con Girolamo Pignatelli, al quale seguirono Hyeronimo e Ferdinando[15].

Nel 1799 a Francesco che fu padre di Irene Pignatelli, la sposa di Leonardo Giunti, padre di Giulia Giunti che diede il nome all’”Asilo Giunti”, tutt’ora esistente e funzionante, gestito dalle suore “Dorotee” di Vicenza.

Per la cittadina di Strongoli lo storico Salvatore Gallo sottolinea, nel saggio Vecchio campanile, che una delle più importanti testimonianze ebraiche nella cittadina jonica è rappresentata da una lapide del XV secolo ritrovata in contrada Catena nel 1954 nella cui epigrafe è scritto che “questa è una lapide dell’illustre signore, maestro Leone medico figlio di Clemente morto nel 5201, 1441 dell’Era volgare. L’Eden sia il suo riposo”.

Veduta di Strongoli, 1730 (Crotone).jpg

Epoca moderna

Fu parte attiva nella sollevazione delle Calabrie contro i Francesi (1806), che ritirandosi la incendiarono: il 29 luglio 1806 le truppe francesi del Reynier assalirono la città, la cui popolazione si era ribellata e non voleva aprire le porte. Messo a ferro e fuoco l’abitato, si liberarono anche alcuni prigionieri polacchi, che rinchiusi dai briganti nel castello erano di continuo minacciati di morte.

Rioccupata l’anno successivo, subì una dura repressione.

La successiva storia di Strongoli è legata alle vicissitudini di quella nazionale.

Dopo il 1815, con il nuovo ordinamento amministrativo del Regno delle Due Sicilie, Strongoli passò dalla Provincia di Cosenza a quella di Catanzaro.

Dal 1992 è uno dei 27 comuni della nuova Provincia di Crotone.

Simboli

Il decreto del capo del governo del 1º febbraio 1936 riconosceva lo stemma storico presente nel catasto onciario di Strongoli del 1741.[17][18] Lo stemma attualmente in uso è stato concesso, assieme al gonfalone, con il decreto del presidente della Repubblica del 22 maggio 2002.[19]

«Di argento, ai cinque monti conici fondati in punta, di verde, infiammati di rosso, il monte centrale più alto, i monti secondo e quarto di altezza mediana, i monti laterali bassi, il monte laterale a sinistra con i declivi intieramente visibili, gli altri monti con i declivi a destra intieramente visibili, con i declivi a sinistra parzialmente celati dal monte a confine. Sotto lo scudo, su lista bifida e svolazzante di argento, il motto in lettere maiuscole di nero Urbs Peteliae nunc Strongoli. Ornamenti esteriori da Città.»

I cinque monti in fiamme simboleggiano i cinque cumuli ai quali i petelini diedero fuoco prima di cedere ad Annibale la città. Secondo altri, i colli raffigurerebbero le cinque distruzioni subite.[17]

Sotto lo scudo è presente un nastro riportante la dicitura “Urbs Peteliae nunc Strongoli”.